
Ecco perché ho smesso di fare CINEMA
Immagina di entrare in un cinema pieno di persone, gente che ride ad ogni battuta, gente che si emoziona durante una scena triste e immagina che l’artefice di quell’opera sei proprio tu, che emozione!
Questa è la storia della mia vita. Fin da piccolo sognavo proprio questo, far emozionare le persone, e l’ho fatto con i miei film, con i miei racconti, con i miei dipinti. Amavo veder cambiare l’espressione sul viso dei miei spettatori durante i miei spettacoli.
Ho iniziato da bambino, ero piccolissimo quando iniziai a disegnare le mie prime storie a fumetti, pubblicate poi su giornali e riviste, da li poi il teatro e successivamente il cinema. Una vita fatta di esperimenti, di studio e di tanto lavoro ma anche fatta di bugie, compromessi e sotterfugi. Una vita appunto. In oltre 26 anni di attività ho portato in scena più di 450 spettacoli diversi, 8 film e 5 libri, oltre alle migliaia di vignette stampate su i quotidiani. Ho realizzato giochi in scatola, e tanta tanta altra roba inutile. Mi sono divertito? Si questo si, ho imparato tanto, mi sono divertito tanto e ho fatto divertire. Ma ne è valsa la pena? Penso proprio di no.
Per realizzare un film di solito impiegavo circa sei mesi nella scrittura, altri 4 per organizzare le riprese, reperire i fondi e poi un altro anno tra le riprese e il montaggio. Quasi due anni di duro lavoro, notti passate insonni a pensare, a studiare ad elaborare per poi arrivare al cinema. Il pubblico mi acclamava, complimenti, pacche sulle spalle, premi, riconoscimenti, tutto questo mi pagava ma non mi appagava.
Se stai leggendo questo articolo potrai pensare che ho perso la voglia di fare questo mestiere, o che sono demotivato per qualche ragione, in realtà no, non perderò mai l’amore per quello che ho fatto e quello che faccio, scrivo tutto questo come monito per chi come me, tanti anni fa, ha scelto di dedicare tutta la sua vita a rincorrere un sogno in un mondo che non ti lascia niente.
Gli spettatori guardano il tuo film e dopo circa un ora e mezza, la durata media di un film, si alzano e tornano a casa. Qualcuno commenta, qualcuno critica, ma nessuno mai si chiede dietro quell’opera se c’è stato qualcuno che ha sacrificato la sua vita per lui, per regalargli un emozione durante quei 120 minuti.
Mi sono reso conto che nessuno potrà mai ridarmi indietro tutto il tempo perso, nessuno potrà ridarmi il tempo che potevo usare per giocare con mia figlia al parco invece di stare a casa davanti al computer a lavorare.
Oggi mia figlia ha 27 anni e ha dentro di se il ricordo di un padre seduto davanti al computer, ha il ricordo di un padre stressato, creativo e folle. Tutti quegli applausi non mi ridaranno mai indietro quei momenti persi. Oggi che sono padre della mia seconda figlia ho deciso di fare una scelta, questa volta voglio provare io quelle emozioni, voglio giocare con lei, annoiandomi a volte ma voglio esserci. Guardo i trailer dei film dei miei colleghi e mi chiedo se anche loro come me hanno messo da parte la loro vita per realizzare quel film e se ne valga veramente la pena. Il mondo dello spettacolo è un mondo fantastico, pieno di luci, musica ed emozioni ma non è reale.
Quando mia figlia mi guarda e mi dice “amo te Babbo Davide” dopo che ci siamo sporcati tutti e due con i colori per me è più gratificante degli applausi di circostanza, molto più appagante dei premi ritirati alla sagra della trippa.
Arriva sempre un momento nella vita dove senti il bisogno di fermarti per guardarti indietro, ti viene da sorride ripensando ad alcuni momenti e ti sale la rabbia invece quando pensi a tutto quello che perdi.
Mi fa venire in mente quell’uomo che ha 1000 euro in tasca, è davanti al Casinò e decide di entrare. Si siede al tavolo da gioco e perde, perde e perde ancora, poi arriva la fortuna e comincia a vincere. Quei 1000 euro sono diventati 2 mila, poi 4 mila e lui continua a giocare. E’ notte e lui è ancora li dentro a giocare, vince, perde, vince, perde mentre fuori da quel casinò la vita va avanti, un uomo porta al guinzaglio il suo cagnolino prima di portarlo a letto e l’ultimo autobus fa scendere gli operai che tornano a casa, ma quell’uomo è ancora li dentro a giocare con il suo destino. Quando uscirà dal casinò è ormai mattina, fuori è giorno, i bambini stanno salendo sull’autobus per andare a scuola e quell’uomo è tornato fuori con il suo cane. Lui ha perso tutto, non ha nemmeno i soldi per tornare a casa, non ha dormito, ha bevuto tanti caffè e ha le palpitazioni, ha fumato tanto ed è stordito.
Ho vissuto in quel “Casinò” per oltre 25 anni, fuori dal mondo e senza rendermi conto se fosse giorno o notte. Non mi sono goduto le cose più importanti della vita, non ho vissuto mai la mia vita. Ho raccontato la vita degli altri, ho scritto di tutti ma non di me. Mia sorella, mia madre, mio padre, mia figlia, ho perso tutto solo per aver l’illusione di poter vincere nella vita, di riuscire a diventare un regista importante, quando invece per loro era importante che fossi un figlio o un padre.
Vincere non vuol dire essere il numero uno, vincere vuol dire essere noi stessi. Ho capito questo da questa esperienza, che se mai avessi un altra opportunità non la sfrutterò mai, la mia opportunità Dio me l’ha data e la vivo ogni giorno, questa è la mia carriera, la mia vittoria.
Se fossi quell’uomo davanti al casinò, oggi deciderei di non entrare, mi terrei stretto quei mille euro e li spenderei per far felice le persone intorno a me e non andrei a giocarli sperando di vincere.
A tutti i giovani registi vorrei dire questo, se davvero volete farlo, consideratelo un lavoro, fatelo con passione ma quando avete finito le vostre 8 ore tornate a casa dalle vostre famiglie e vivete innanzitutto le vostre vite, nessuno vi pagherà mai per tutto il tempo che ci state spendendo, nemmeno se vinceste l’Oscar. Divertitevi e non dimenticatevi di vivere.
Dado

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